Il Garante per la protezione dei dati personali ha adottato un provvedimento di ingiunzione in danno di un consigliere comunale il quale ha richiesto ed ottenuto dagli uffici comunali una DIA riferentesi ad un soggetto privato che è stata poi fornita ad una terza persona che l’ha utilizzata producendola nell’ambito di un giudizio contenzioso.
In particolare, il Garante ha esaminato una segnalazione con la quale è stata lamentata una presunta violazione del Codice in relazione alle modalità di acquisizione di un documento – contenente dati personali del segnalante – prodotto nell’ambito di un contenzioso – da tale controparte. Il suddetto documento (D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009), già oggetto di istanza di accesso agli atti presentata al Comune di Rutigliano (di seguito il “Comune) dalla citata controparte del segnalante, è stato fornito a quest’ultima – successivamente alla risposta di diniego di accesso da parte del Comune – dal consigliere comunale XX (d’ora in avanti il “consigliere”);
Il consigliere è stato invitato a fornire ogni informazione utile agli accertamenti e alla valutazione del caso; in particolare, è stato richiesto al consigliere, se la sopra citata D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009, richiesta al Comune dal consigliere con nota n. 7119 del 21 aprile 2015 e acquisita da quest’ultimo ai sensi dell’art. 43, comma 2, del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, in considerazione delle funzioni di consigliere comunale, fosse stata o meno comunicata a terzi. Il consigliere ha dichiarato che “il sottoscritto non ha comunicato a terzi il documento protocollo n. 7119 del 21 aprile 2015” riferendosi, con ciò, alla sua nota di richiesta al Comune della D.I.A. riguardante il segnalante.
Il Garante, in considerazione della risposta fornita, ha nuovamente richiesto al consigliere, fra altro, “ (…) se la documentazione acquisita a seguito della richiesta del 21.4.2015 (prot. n. 7119), cioè la pratica D.I.A. n. 275/09 del 20.10.2009, contenente i dati personali del (…) (segnalante), sia stata o meno consegnata a terzi (…)”.
Il consigliere successivamente dichiarava al Garante, fra altro, che “ (…) con la mia precedente nota del 15 maggio 2017, con la quale ho comunicato di “non aver comunicato a terzi il documento protocollo numero 7119 del 21 aprile 2015” intendevo dire che non ho comunicato il documento de quo a terzi, che non sia la legittima richiedente (…)”, intendendo, per quest’ultima, la controparte del segnalante richiedente l’accesso agli atti, relativi alla menzionata D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009, negato dal Comune;
Alla luce dell’istruttoria svolta, il Garante non ha ravvisato i presupposti che legittimassero il consigliere a comunicare a terzi e, in tal caso alla controparte del segnalante, la documentazione concernente la D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009 contenente dati personali del segnalante stesso e ha, pertanto, accertato che tale comunicazione è stata effettuata in violazione degli articoli 11, comma 1, lett. a) e b) e 19, comma 3, del Codice. Ciò, in quanto “ (…) i consiglieri comunali e provinciali hanno il “diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune della provincia, nonché delle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato” (art. 43, d.lgs. n. 267/2000) (…) Resta, pertanto, ferma la necessità che i dati personali così acquisiti siano utilizzati effettivamente per le sole finalità realmente pertinenti al mandato (…)”. “(…) Con riferimento, invece, all’utilizzo di tale documentazione (D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009) per le sole finalità pertinenti al mandato, si rileva che la comunicazione di tale documentazione alla (…) (controparte giudiziale del segnalante) non può ritenersi ascrivibile alle finalità previste dalla disposizione sopra citata. La normativa in materia di accesso ai documenti amministrativi, in caso di diniego espresso o tacito, individua specifici strumenti di tutela che l’istante può esercitare avanti alle autorità competenti; (il consigliere) si è sostituito all’Amministrazione provvedendo a rilasciare alla (…) (controparte del segnalante) la documentazione acquisita ai sensi dell’art. 43 del d.lgs. 267/1990 (…)”. Tuttavia, pur a fronte della condotta illecita posta in essere, il Dipartimento sopra citato non ha ravvisato gli estremi per promuovere l’adozione di un provvedimento prescrittivo o inibitorio del Collegio, ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera d e 13, comma 4, del regolamento interno n. 1/2007 del 14 dicembre 2007 (doc. web n. 1477480 rintracciabile in www.gpdp.it ), in considerazione del fatto che tale condotta aveva, allo stato, esaurito i suoi effetti. A chiusura della nota il suddetto Dipartimento ha comunicato al consigliere che l’Autorità si sarebbe riservata di verificare, con autonomo procedimento, la sussistenza dei presupposti per contestare la violazione amministrativa prevista dall’art. 162, comma 2 bis, del Codice, per violazione degli artt. 11, comma 1, lett. a) e b), e 19, comma 3, del Codice;
E ancora che “ (…) i titoli edilizi non sono coperti da privacy (…)” e che “quando il vicino ha un interesse concreto, personale, ed attuale, ad accedere ai permessi edilizi (…) i titoli edilizi sono atti pubblici. Non c’è privacy che tenga quando sussiste interesse concreto personale di attuale ad accedere alle autorizzazioni amministrative sui permessi edilizi. La giurisprudenza in subiecta materia ha sposato una linea di massima trasparenza in materia urbanistica, infatti la legge sul procedimento amministrativo (…) che indica i casi e le modalità di esclusione dal diritto di accesso, dispone espressamente che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Non si può opporre alcun diritto alla privacy perché tutti gli atti dell’amministrazione comunale e provinciale sono pubblici ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto.
Il rapporto di vicinato, poi, costituisce di per sé già un legittimo interesse concreto ed attuale, tale da giustificare l’accesso agli atti amministrativi della pratica del proprio proprietario adiacente.
Pertanto (la controparte giudiziale del segnalante che si è vista negare l’accesso agli atti dal parte del Comune e che ha, successivamente, ottenuto tale documento dal consigliere) aveva e ha un interesse legittimo a tutelare le sue situazioni giuridiche ed economiche (…)”;
Ancora , con riguardo al fatto che i “titoli edilizi non sono coperti da privacy” e sono “atti pubblici”, il Garante ha ribadito quanto già rappresentato nella nota sopracitata prot. n. 14703 del 17 maggio 2018 del Dipartimento Libertà Pubbliche e Sanità di questa Autorità, per cui “ (…) il d.lgs. n. 97/2016 ha abrogato l’art. 23, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013, che prevedeva l’obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni di pubblicare sul sito web istituzionale gli elenchi dei provvedimenti adottati, con particolare riferimento “ai provvedimenti finali dei procedimenti di: a) autorizzazione o concessione», ai quali, secondo l´orientamento adottato dall´ANAC dovevano ritenersi equiparati anche la DIA e la SCIA (Orientamento n. 11 del 21/5/2014, in https://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/ArchivioStorico/Orientamenti/Orientamenti/_orientamento?id=e155116a0a7780422a6899a8fa56d3f9). Si rileva che, in ogni caso, anche nel previgente testo normativo non era previsto l´obbligo di pubblicazione online dei “provvedimenti integrali”, ma solo di una «scheda sintetica» degli elementi previsti dalla disposizione, ossia «il contenuto, l´oggetto, la eventuale spesa prevista e gli estremi relativi ai principali documenti contenuti nel fascicolo relativo al procedimento» (art. 23, comma 2, del d. lgs. n. 33/2013, abrogato), senza specifici riferimenti alla pubblicazione di dati personali ivi contenuti”.
Quanto, poi, agli argomenti relativi alla legittimazione all’esercizio del diritto di accesso e alla prospettata ricorrenza, in capo alla controparte giudiziale del segnalante, dei requisiti ed elementi necessari per vedersi accolta la domanda di accesso agli atti presentata al Comune, nonché alla conseguente supposta illegittimità del diniego di accesso alla D.I.A. n. 275/09 del 20 ottobre 2009 espresso da quest’ultimo, si rappresenta che tali argomenti non possono certo costituire presupposti legittimanti la comunicazione a terzi di tale D.I.A. da parte di altro organo (in tal caso il consigliere) o ente amministrativo, diversi da quello competente a pronunciarsi sulla richiesta di accesso quale, nella vicenda in questione, il Comune.
Ciò, vale anche con riguardo alla sopra prospettata ricorrenza, nella vicenda in questione, dell’ipotesi di reato di falso: ai sensi dell’art. 331 c.p.p., il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, i quali vengano a conoscenza “di un reato perseguibile d’ufficio” hanno, sì, l’obbligo di denunciare tale reato, ma unicamente all’Autorità giudiziaria, non fornendo informazioni a riguardo ad alcun altro soggetto, abbia o meno, quest’ultimo, un interesse nella vicenda illecita.
FONTE: Garante per la protezione dei dati personali, Ordinanza-ingiunzione n. 100 del 4 aprile 2019 (doc-web n. 9117119)