Un Comune ha indetto una procedura a evidenza pubblica finalizzata a individuare un operatore economico al quale affidare in gestione il servizio parcheggi su aree comunali a ciò destinate.
L’aggiudicataria provvisoria è stata successivamente esclusa perché in sede di verifica della congruità dell’offerta, la stessa non è risultata soddisfacente in quanto priva dei riferimenti ai tributi locali, TARI e TOSAP, sulle aree destinate alla sosta. Alla scadenza dell’affidamento in seguito perfezionato, il nuovo bando di gara non recava alcuna indicazione sulla necessità di corredare l’offerta anche dei costi relativi al pagamento dei tributi locali, così come era accaduto in costanza della precedente procedura.
A questo punto, la società ha chiesto chiarimenti alla stazione appaltante su tale elemento.
Ricevuti i chiarimenti, l’impresa si è risolta per la mancata partecipazione, vista l’entità degli importi dovuti per le due imposizioni, che rendevano la gestione insostenibile.
Ne è seguita una domanda di accesso civico generalizzato ex art. 5, D.Lgs. n. 33/2013, al fine di accedere ai verbali e alle giustificazioni della procedura di selezione del contraente per la verifica dell’offerta dell’aggiudicataria, con specifico riferimento al riscontro della corretta indicazione da parte della stessa dei soli obblighi tributari. Alla base dell’istanza, l’esigenza di verificare la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa e di controllare l’adempimento degli obblighi tributari del futuro concessionario.
La VI Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, nella sentenza n. 5837 dello scorso 10 dicembre 2019, ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale sull’argomento.
Come è ben noto, sulla scia dei concetti introdotti dal D.Lgs. n. 150 del 2009 in materia di trasparenza e in attuazione della delega recata dall’art. 1, commi 35 e 36 della L. 28 novembre 2012, n. 190, in tema di “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, è stato adottato il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal D.Lgs. n. 97 del 2016, che ha operato una importante estensione dei confini della trasparenza.
L’accesso civico generalizzato è stato introdotto in Italia sulla base della delega di cui all’art. 7, comma 1, lett. h) della cd. Legge Madia (L. n. 124 del 2015), ad opera dell’art. 6 del D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 97 che ha novellato l’art. 5 del decreto trasparenza (D.Lgs. n. 33 del 2013).
Il nuovo accesso civico (generalizzato), quale strumento di trasparenza amministrativa, si affianca alle forme di pubblicazione on line introdotte del 2013 (obblighi di pubblicazione) e all’accesso agli atti amministrativi (accesso documentale) di cui alla L. n. 241 del 1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispirato (e che lo differenzia dall’accesso “qualificato” previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo) l’accesso alla generalità degli atti, dei documenti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli e associati, in guisa da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica”, oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546).
Con l’accesso civico generalizzato si introduce il diritto della persona a ricercare informazioni, la cui esplicazione consente la partecipazione al dibattito pubblico e la conoscenza di dati pubblici e/o di interesse pubblico e delle decisioni delle amministrazioni al fine di rendere possibile quel controllo “democratico” che l’istituto intendere perseguire.
Le informazioni, i dati e i documenti si configurano, quindi, come il “bene della vita” cui il cittadino aspira, al fine di soddisfare il proprio diritto a conoscere e a “partecipare” al sistema democratico.
Il Consiglio di Stato, nell’ambito del parere reso sul citato D.Lgs. n. 97 del 2016, ha messo in evidenza che “La trasparenza si pone, allora, non solo come forma di prevenzione dei fenomeni corruttivi, ma come strumento ordinario e primario di riavvicinamento del cittadino alla pubblica amministrazione, destinata sempre più ad assumere i contorni di una ‘casa di vetro’, nell’ambito di una visione più ampia dei diritti fondamentali sanciti dall’articolo 2 della Costituzione, che non può prescindere dalla partecipazione ai pubblici poteri. In sostanza, la trasparenza viene a configurarsi, ad un tempo, come un mezzo per porre in essere una azione amministrativa più efficace e conforme ai canoni costituzionali e come un obiettivo a cui tendere, direttamente legato al valore democratico della funzione amministrativa” (Cons. Stato, parere n. 515/2016).
Il diritto di informarsi e di essere informati è alla base della formazione dell’opinione pubblica e di ogni sistema democratico: se si vuole effettivamente garantire la partecipazione pubblica del cittadino, non si può prescindere dalla conoscenza e dalla libertà di accedere alle informazioni pubbliche. La conoscenza dei documenti, dei dati e delle informazioni amministrative consente, in conclusione, la partecipazione alla vita di una comunità, la vicinanza tra governanti e governati, il consapevole processo di responsabilizzazione (accountability) della classe politica e dirigente del Paese.
Ancora, in via preliminare, va ricordato che la finalità perseguita dal legislatore, con riferimento alla trasparenza amministrativa, è quella di “promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (cfr. art. 1, co. 1, D.Lgs. n. 33 del 2013) e, più in particolare, con riguardo all’accesso generalizzo, quella di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, co. 2. D.Lgs. n. 33 del 2013); le dette finalità rappresentano gli obiettivi che la legge vuole perseguire, essendo l’accesso civico generalizzato solo uno degli strumenti volti a realizzare un ordinamento democratico, a consentire la partecipazione dei cittadini alla vita politico-amministrativa, a comprendere le scelte effettuate dalle amministrazioni, a promuovere il libero formarsi dell’opinione pubblica. Naturalmente queste finalità non possono trasformarsi in “limiti”: l’Amministrazione non potrà negare un accesso generalizzato ritenendo che la conoscenza dei documenti (di interesse pubblico) richiesti non sia utile alle finalità della legge ovvero che l’ostensione richiesta “non risulti finalizzata al controllo diffuso”; così interpretando il dato normativo si corre, infatti, il rischio di introdurre limiti alla libertà di informazione non previsti espressamente dal legislatore.
Il controllo diffuso di cui parla la legge, infatti, non è da riferirsi alla singola domanda di accesso, ma è il risultato complessivo cui “aspira” la riforma sulla trasparenza la quale, ampliando la possibilità di conoscere l’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento dei compiti istituzionali e una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi democratici e al dibattito pubblico. Se i dati e i documenti richiesti sono inerenti a scelte amministrative, all’esercizio di funzioni istituzionali, all’organizzazione e alla spesa pubblica, questi potranno essere considerati di “interesse pubblico” e quindi conoscibili, a meno che non si rinvengano concomitanti interessi pubblici e privati prevalenti da salvaguardare.
In definitiva, l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti sono fissati espressamente dalla legge ed essere di stretta interpretazione.
Dal punto di vista procedurale l’art. 5, co. 2 del decreto 33/2013 (che disciplina appunto l’accesso generalizzato) consente ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati all’art. 5-bis del decreto.
La disciplina prevista per l’accesso civico generalizzato dispone che questo non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente; l’istanza non deve essere motivata e il richiedente nella sua istanza deve esclusivamente limitarsi a indicare i dati, le informazioni o i documenti che si intendono conoscere.
La regola della generale accessibilità è temperata dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi pubblici e privati che possono subire un pregiudizio dalla rivelazione generalizzata di talune informazioni, ma che comunque non si trasformano in limiti tout court alla trasparenza amministrativa dovendo essere riguardati anche alla luce dell’interesse alla accessibilità delle informazioni, dei dati e dei documenti richiesti.
Il principio di proporzionalità che regola, infatti, la decisione dell’Amministrazione impone alla stessa di valutare tutti gli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, compreso quello del richiedente, al fine di individuare la soluzione che comporti il minor sacrificio per tutti gli interessi in gioco (cfr. questa sezione n. 2486/2016).
La disciplina dell’accesso civico generalizzato, avendo l’istituto ambiti di applicazione molto estesi in quanto riferito ai dati, alle informazioni e ai documenti inerenti all’attività e all’organizzazione delle amministrazioni, non poteva non prevedere anche dei limiti, in ragione degli interessi pubblici e privati da salvaguardare; e ciò alla stregua di quanto si rinviene anche nell’ambito della disciplina sull’accesso ai documenti (art. 24, L. n. 241 del 1990) e nel decreto sulla trasparenza (D.Lgs. n. 33 del 2013) in merito agli obblighi di pubblicazione (art. 7 bis, D.Lgs. n. 33 del 2013).
L’art. 5-bis co. 1 stabilisce i limiti da applicare alle richieste di accesso civico generalizzato, prevedendo che esso deve essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di uno dei seguenti interessi pubblici: la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la difesa e le questioni militari, le relazioni internazionali, la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato, la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento, il regolare svolgimento di attività ispettive.
Ancora, ai sensi dell’art. 5- bis, co. 2, l’accesso generalizzato deve essere negato per evitare un “pregiudizio concreto” alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia, la libertà e la segretezza della corrispondenza e gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
Accanto a questi, comunemente indicati come limiti “relativi”, vi sono poi i limiti “assoluti” elencati all’art. 5-bis, co. 3 secondo cui “Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della L. n. 241 del 1990”.
Quanto allo specifico argomento dell’accesso generalizzato in materia di contratti pubblici,
Tanto premesso, la controversia all’esame del Collegio va esaminata avendo riguardo al quadro normativo e giurisprudenziale riferito all’accesso generalizzato in tema di contratti pubblici, che risulta tutt’altro che lineare. Negli ultimi due anni si sono, infatti, susseguite numerose e non uniformi pronunce del giudice amministrativo, basate ovviamente su diverse interpretazioni delle norme di riferimento, che in qualche modo hanno radicalizzato il “contrasto” che si registra in materia: da una parte, infatti, vi sono pronunce che affermano che anche nella materia dei contratti pubblici, escluse le limitazioni di cui al menzionato art. 5-bis del D.Lgs. n. 33 del 2013, debba essere garantita la più ampia trasparenza (cfr. TAR Lombardia n. 45/2019, Cons. Stato 3780/2019); dall’altra, si colloca quella giurisprudenza che ritiene applicabile, in questo ambito, la sola regola della conoscenza “qualificata” disciplinata dalla L. n. 241 del 1990 e dalla normativa speciale di riferimento di cui all’art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016 (cfr. Tar Parma n. 197/2018, Tar Milano n. 630/2019, Cons. Stato 5503/2019).
La norma di cui al decreto trasparenza che ha dato luogo al contrasto giurisprudenziale è quella di cui all’art. 5-bis, co. 3 che prevede appunto i c.d. limiti assoluti a conoscere mediante accesso generalizzato. Questa norma, come innanzi ricordato, dispone che l’accesso generalizzato è escluso nei casi “…..in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi ….”.
La disciplina vigente, che nello specifico reca “condizioni, modalità o limiti” e che trova applicazione nel presente contenzioso, è quella speciale prevista dal Codice dei contratti pubblici, vale a dire l’art. 53 del D.Lgs. n. 50 del 2016, rubricato appunto “Accesso agli atti e riservatezza” il quale dispone che:
“1. Salvo quanto espressamente previsto nel presente codice, il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della L. 7 agosto 1990, n. 241. ……
2. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, il diritto di accesso è differito:
a) …..;
b) …..;
c) in relazione alle offerte, fino all’aggiudicazione;
d) in relazione al procedimento di verifica della anomalia dell’offerta, fino all’aggiudicazione.
3. Gli atti di cui al comma 2, fino alla scadenza dei termini ivi previsti, non possono essere comunicati a terzi o resi in qualsiasi altro modo noti.
4. …..
5. Fatta salva la disciplina prevista dal presente codice per gli appalti secretati o la cui esecuzione richiede speciali misure di sicurezza, sono esclusi il diritto di accesso e ogni forma di divulgazione in relazione:
a) alle informazioni fornite nell’ambito dell’offerta o a giustificazione della medesima che costituiscano, secondo motivata e comprovata dichiarazione dell’offerente, segreti tecnici o commerciali;
b) ai pareri legali acquisiti dai soggetti tenuti all’applicazione del presente codice, per la soluzione di liti, potenziali o in atto, relative ai contratti pubblici;
c) alle relazioni riservate del direttore dei lavori, del direttore dell’esecuzione e dell’organo di collaudo sulle domande e sulle riserve del soggetto esecutore del contratto;
d) alle soluzioni tecniche e ai programmi per elaboratore utilizzati dalla stazione appaltante o dal gestore del sistema informatico per le aste elettroniche, ove coperti da diritti di privativa intellettuale”.
Con riguardo all’interpretazione dell’art. 5-bis co. 3 del D.Lgs. n. 33 del 2013, e cioè se attraverso questo richiamo il legislatore abbia voluto introdurre un limite assoluto a conoscere gli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, si sono registrati due diversi orientamenti culminati in due pronunce del Consiglio di Stato che si sono susseguite negli ultimi mesi.
Da una parte si registra un orientamento di maggiore “apertura” verso la conoscenza dei detti atti che si rinviene nella sentenza della III sez., n. 3780 del 5 giugno 2019, la quale, muovendo proprio dall’interpretazione dell’art. 5-bis, co. 3 chiarisce che “tale ultima prescrizione fa riferimento, nel limitare tale diritto, a “specifiche condizioni, modalità e limiti” non ad intere “materie”. Diversamente interpretando, significherebbe escludere l’intera materia relativa ai contratti pubblici da una disciplina, qual è quella dell’accesso civico generalizzato, che mira a garantire il rispetto di un principio fondamentale, il principio di trasparenza ricavabile direttamente dalla Costituzione. Entrambe le discipline, contenute nel D.Lgs. n. 50 del 2016 e nel D.Lgs. n. 33 del 2013, mirano all’attuazione dello stesso, identico principio e non si vedrebbe per quale ragione, la disciplina dell’accesso civico dovrebbe essere esclusa dalla disciplina dei contratti pubblici. D’altro canto, il richiamo contenuto nel primo comma, del citato art. 53 Codice dei contratti, alla disciplina del c.d. accesso “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della L. n. 241 del 1990 è spiegabile alla luce del fatto che il D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50 è anteriore al D.Lgs. 25 maggio 2016, n. 67 modificativo del D.Lgs. n. 33 del 2013…… dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis co. 3 D.Lgs. n. 33 del 2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.
Non ritiene il Collegio che il richiamo, ritenuto decisivo dal primo giudice, all’art. 53 del “Codice dei contratti” nella parte in cui esso rinvia alla disciplina degli artt. 22 e seguenti della L. n. 241 del 1990, possa condurre alla generale esclusione dell’accesso civico della materia degli appalti pubblici….. Proprio con riferimento alle procedure di appalto, la possibilità di accesso civico, una volta che la gara sia conclusa e viene perciò meno la tutela della “par condicio” dei concorrenti, non risponde soltanto ai canoni generali di “controllo diffuso sul perseguimento dei compiti istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche” (art. 5 co. 2 cit. D.Lgs. n. 33 del 2013).
Vi è infatti, a rafforzare in materia l’ammissibilità dell’accesso civico, una esigenza specifica e più volte riaffermata nell’ordinamento statale ed europeo, e cioè il perseguimento di procedure di appalto trasparenti anche come strumento di prevenzione e contrasto della corruzione….”.
Un diverso orientamento si rinviene nella sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 5503 del 2 agosto 2019, la quale – nel negare l’accesso generalizzato agli atti di gara – ha affermato che “La previsione dell’art. 5-bis, comma 3 si distingue da quella dei comma 1 e 2,….perché è disposizione volta a fissare, non i limiti relativi all’accesso generalizzato consentito a “chiunque”, bensì le eccezioni assolute, a fronte delle quali la trasparenza recede. Anche la tecnica redazionale del comma si distingue da quella dei comma precedenti, poiché se è vero che l’art. 5-bis, comma 3, non sottrae al bilanciamento materie direttamente individuate dalla norma medesima (a differenza degli interessi, pubblici e privati, che sono individuati dal primo e dal secondo comma), resta che utilizza l’espressione generica di casi , che fanno eccezione assoluta, in modo da rinviare, per la loro individuazione, ad altre disposizioni di legge, direttamente o indirettamente, richiamate dallo stesso comma 3 (sicché l’ampiezza dell’eccezione dipende dalla portata della normativa cui l’art. 5-bis, comma 3, rinvia). In particolare, sono sottratti al bilanciamento ed esclusi senz’altro dall’accesso generalizzato: i casi di segreto di Stato ed i casi di divieti di accesso o di divulgazione previsti dalla legge, i casi elencati nell’art. 24, comma 1, della L. n. 241 del 1990 (che, al suo interno, ricomprende intere materie), i casi in cui “l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti”…. la previsione in questione assume significato autonomo e decisivo se riferita alle discipline speciali vigenti in tema di accesso e, per quanto qui rileva, al primo inciso del primo comma dell’art. 53. Ne consegue che il richiamo testuale alla disciplina degli articoli 22 e seguenti della L. 7 agosto 1990, n. 241 va inteso come rinvio alle condizioni, modalità e limiti fissati dalla normativa in tema di accesso documentale, che devono sussistere ed operare perché possa essere esercitato il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici”.
Nella pronuncia da ultimo richiamata si fa poi riferimento alla circostanza che l’accesso generalizzato non sarebbe stato introdotto, nell’ambito del codice dei contratti pubblici, nemmeno in sede di correttivo di cui al D.Lgs. n. 56 del 2017, come segno evidente della volontà del legislatore di non consentire l’accesso generalizzato in detta materia; inoltre, la sentenza considera che quelli della procedura di gara sono “atti formati e depositati nell’ambito di procedimenti assoggettati, per intero, ad una disciplina speciale ed a sé stante. Questa disciplina attua specifiche direttive europee di settore che, tra l’altro, si preoccupano già di assicurare la trasparenza e la pubblicità negli affidamenti pubblici, nel rispetto di altri principi di rilevanza Euro unitaria, in primo luogo il principio di concorrenza, oltre che di economicità, efficacia ed imparzialità. …..”.
Alla luce dei richiamati orientamenti interpretativi, il Collegio ritiene di decidere il presente ricorso aderendo al primo dei due orientamenti riportati, anche in considerazione dell’orientamento già espresso dalla sezione in materia di accesso generalizzato.
FONTE: (T.A.R. Campania, Napoli Sez. VI, Sent., (ud. 6 novembre 2019) 10 dicembre 2019, n. 5837)