Con la sentenza n. 372 depositata lo scorso 8 gennaio 2019, la 3° Sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato due importanti principi in relazione ad altrettante situazioni decisamente “comuni” e diffuse.
Con riferimento alla fattispecie relativa ad un imprenditore, condannato per essersi procurato indebitamente video ritraenti tre proprie dipendenti, all’interno dello spogliatoio adiacente all’esercizio commerciale presso il quale le stesse lavoravano, mentre erano intente a cambiarsi d’abito, la Suprema Corte ha escluso che l’utilizzo solo occasionale del locale come spogliatoio impedisse di considerarlo come luogo di privata dimora, cioè di luogo destinato a consentire riservatamente l’esplicazione di un atto della vita della privata senza intrusioni esterne. In particolare, è stato osservato che
“la qualificazione come luogo di privata dimora, inteso come luogo nel quale si esplicano atti della vita privata (tra i quali, certamente, rientra il cambio di indumenti collegato allo svolgimento di attività lavorativa, da svolgersi nell’esercizio commerciale attiguo a tale locale), del locale utilizzato dalle dipendenti dell’imputato per cambiarsi d’abito, risponde alla ratio e alla funzione della norma incriminatrice, di proteggere la riservatezza di atti relativi alla sfera personale e destinati a essere compiuti nella abitazione o, comunque, con modalità tali da evitare ingerenze o intrusioni di terzi nel loro.
La circostanza che la destinazione del locale utilizzato per il cambio di indumenti non fosse esclusiva, venendo utilizzato anche come magazzino o deposito, non esclude che esso, nel momento in cui veniva utilizzato dalle dipendenti dell’imputato (con il suo consenso, non essendo stato dedotto che ciò avvenisse contro la sua volontà o a sua insaputa) per tale atto, fosse destinato alla esplicazione di atti della vita privata in assenza di intrusioni, con la conseguente correttezza della affermazione della illiceità della condotta dell’imputato.
Ciò che rileva è, infatti, la pacifica e nota destinazione di un determinato luogo (nella specie il suddetto locale magazzino) alla regolare esplicazione di atti della vita privata (non essendo stato dedotto che il cambio di indumenti sia stato occasionale o estemporaneo, emergendo, piuttosto, dalla motivazione, la abitualità di tale condotta), giacchè in tale occasione opera in relazione a esso la speciale protezione di cui all’art. 615 bis c.p., rimanendo irrilevante il fatto che detto luogo sia destinato anche ad altre funzioni, dovendo operarvi la speciale protezione apprestata da detta disposizione in concomitanza con il compimento di atti della vita privata (cfr. Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015, R., Rv. 264196; Sez. 5, n. 4669 del 07/11/2017, dep. 31/01/2018, Fontana, Rv. 272279)“.
In relazione, invece, alla diversa fattispecie, relativa alla realizzazione indebita di video e fotografie di una donna all’interno della abitazione della madre, nuda e intenta a uscire dalla doccia, la Cassazione – in considerazione del fatto che le abitazioni dell’imputato e della persona offesa erano frontistanti, che quella di quest’ultima non aveva tende alle finestre e che l’imputato non utilizzò alcun accorgimento per fotografare e filmare la persona offesa – ha affermato il principio secondo il quale “deve escludersi la configurabilità del reato di interferenza illecita nella vita privata (…), non essendo stati ripresi comportamenti della vita privata sottratti alla normale osservazione dall’esterno, posto che la tutela del domicilio è limitata a ciò che si compie nei luoghi di privata dimora in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile a terzi (cfr. Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, Belleri, Rv. 265044; Sez. 5, n. 25453 del 18/04/2011, Roma, Rv. 250462)“.
Prosegue la Corte “L’art. 615 bis c.p. prevede, infatti, che sia punito “chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p.”: il tenore della disposizione lascia intendere, dunque, che, affinchè la condotta descritta integri il reato, non è sufficiente che la stessa abbia ad oggetto immagini che riguardino atti che si svolgano in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. (e, dunque, l’abitazione o altro luogo di privata dimora o le appartenenze di essi), ma è anche necessario che tale condotta sia posta in essere “indebitamente”; ciò significa, dunque, in necessaria connessione logica con quanto del resto più specificamente previsto dall’art. 614 c.p., su cui la disposizione è “ritagliata”, che, seppure la condotta avvenga in uno di detti luoghi, la stessa non sarebbe illecita ove non avvenga in contrasto od eludendo, clandestinamente o con inganno, la volontà di chi abbia il diritto di escludere dal luogo l’autore delle riprese (Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015, R., Rv. 264196 cit.). Se, dunque, l’azione, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, possa, come nel caso in esame, essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti, non si configura una lesione della riservatezza del titolare del domicilio (cfr. Corte cost., sentenza n. 149 del 16 aprile 2008)“.