Con l’ordinananza n. 6486 del 6 marzo 2019 la Corte di Cassazione ha esaminato le doglianze di un odontoiatra che lamentava che la Guardia di Finanza, a seguito di accesso presso lo studio odontoiatrico, adibito anche ad abitazione del professionista, aveva acquisito dal Pc dati dei clienti che erano poi posti a base della rettifica di maggiori compensi.
La Suprema Corte ha rilevato che “dal tenore degli atti di causa, quali riportati dal ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, si evince che, negli originari ricorsi avverso gli atti impositivi, la doglianza di illegittima acquisizione di dati e notizie nel corso dell’accesso domiciliare era limitata all’insufficienza dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica ai sensi dell’art. 52, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972, trattandosi di accesso in luogo costituente anche domicilio abitazione del contribuente in Italia, a giustificare anche l’estrazione di copia delibare/disk contenente dati sensibili, in relazione alla quale i verbalizzanti avrebbero dovuto munirsi della diversa autorizzazione di cui al comma 3 dello stesso art. 52.
8.1. Non è dato cogliere, negli originari ricorsi, invece, l’ulteriore questione relativa alla violazione dell’art. 52, comma 6, del citato d.P.R. n. 633/1972 relativa all’omissione di verbale di accesso nel giorno 24 aprile 2007 in cui, come da verbale di verifica, fu acquisita dalla Guardia di Finanza, in assenza del contribuente, la copia del l’hard disk contenente le radiografie dei clienti e la documentazione, avente natura di contabilità parallela a quella ufficiale, ad essi inerente.
8.2. Ciò comporta che è corretta in diritto la statuizione impugnata, laddove ha ritenuto inammissibile detto motivo aggiunto in relazione al disposto dell’art. 24 del d. Igs. n. 546/1992, atteso che l’integrazione dei motivi addotti in ricorso è consentita con memoria aggiuntiva esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 12 settembre 2018, n. 22223; Cass. sez. 6-5, ord. 13 aprile 2017, n. 9637; Cass. sez. 5, 2 luglio 2014, n. 15051; Cass. sez. 5, 15 ottobre 2013, n. 23326), circostanza non ricorrente nella fattispecie in esame“.
Parimenti è risultata non contestata in fatto “la statuizione della CTR secondo cui il segreto professionale non fu opposto dal contribuente e ciò, di per sé, induce a ritenere legittima l’estrazione della copia dell’hard disk del computer del contribuente pur in assenza della specifica autorizzazione di cui al comma 3 dell’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972. Parte ricorrente assume di non essere stata posta in condizione di opporre il segreto perché assente in occasione del nuovo accesso del 24 aprile 2007 in cui i verbalizzanti misero in atto detta operazione.
In proposito giova osservare che le garanzie difensive, anche in relazione al disposto dell’art. 12 della I. n. 212/2000, non richiedono la necessaria presenza della parte e che, in ogni caso, anche quando il contribuente, in occasione della notifica del processo verbale di constatazione assume di avere avuto conoscenza di detta acquisizione, alcuna contestazione fu in quella sede sollevata.
Lo stesso ricorrente ha d’altronde implicitamente ammesso che, nel procedere a detta operazione di back up dei dati archiviati nell’hard disk del computer di studio, i militari della Guardia di Finanza si siano avvalsi della collaborazione del personale di studio presente, sicché anche sotto questo profilo è da escludere che detta operazione sia equiparabile ad apertura coattiva dei contenitori indicati nel comma 3 dell’art. 52 del d.P.R. n. 633/1972, che necessita dell’autorizzazione ivi prescritta (si vedano Cass. sez. 5, ord. 4 ottobre 2018, n. 24306; Cass. sez. 5, 18 febbraio 2015, n. 3204; Cass. sez. 5, 23 aprile 2007, n. 9565).“
Da ultimo la Cassazione ha ricordato di aver “in più occasioni affermato il principio secondo cui «In materia tributaria, le irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento non comportano, di per sé e in assenza di specifica previsione, la loro inutilizzabilità, salva solo l’ipotesi in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale» (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4066; Cass. sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27149), essendosi in proposito già rilevato che l’accesso domiciliare era stato debitamente autorizzato“