Con la sentenza n. 4122 del 28 marzo 2019 il TAR Lazio, sez. I quater, ha esaminato il caso di un giornalista professionista che chiedeva di prendere visione della documentazione relativa al contenzioso civile presso al Tribunale di Roma nell’ambito del quale l’Autorità garante è stata contrapposta alla Rai Radiotelevisione italiana, società per azioni, nell’anno 2001.
Nella istanza di accesso l’interessato esponeva di aver appreso, da notizie di stampa, che l’Autorità garante sarebbe stata difesa dall’avvocato Guido Alpa, coadiuvato nella difesa dall’avvocato Giuseppe Conte.
Al fine di un approfondimento giornalistico della questione, l’interessato chiedeva di accedere, in particolare, alla memoria di costituzione, alla sentenza definitiva del giudizio, all’ammontare delle spese e ai documenti contabili di liquidazione degli onorari agli avvocati incaricati.
L’accesso era negato dall’Autorità garante con provvedimento numero di protocollo 99 del 15 novembre 2018.
Il diniego, premessa la formale opposizione all’istanza di accesso del controinteressato avvocato Guido Alpa, è motivato con la considerazione che gli atti processuali, memoria di costituzione e sentenza definitiva, sarebbero soggetti a specifiche regole, inderogabili dalla disciplina in materia di accesso civico; che il diritto di accesso sarebbe escluso nei casi di segreto professionale, con riferimento agli atti che attengono al diritto di difesa in un processo; che, tra gli atti connessi alla difesa in giudizio, sarebbero compresi anche gli atti relativi al rapporto con gli avvocati difensori dell’amministrazione assistita, tra i quali rientrerebbero i documenti contabili di liquidazione degli onorari e gli atti di conferimento degli incarichi difensivi; che la normativa che prevede obblighi di pubblicazione relativi agli incarichi di patrocinio legale sarebbe entrata in vigore solo in seguito alle modifiche al decreto legislativo numero 33 del 2013 introdotte dalla legge numero 114 del 11 agosto 2014.
L’istanza era stata presentata ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo n. 33 del 2013, a titolo di accesso civico generalizzato.
Afferma il TAR che, com’è noto, l’articolo 5 del decreto legislativo 33 del 2013, dopo aver riconosciuto, al primo comma, il diritto di chiunque di richiedere i documenti, le informazioni e i dati che le pubbliche amministrazioni sono obbligate a pubblicare, al secondo comma riconosce a chiunque il diritto di accedere ai dati e ai documenti, detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nei limiti e per le finalità indicate dallo stesso comma.
Il diritto di accesso civico generalizzato, denominato anche accesso universale, ai sensi del suddetto secondo comma dell’articolo 5, pur conoscendo i limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, espressamente presi in considerazione dall’articolo 5 bis e pur essendo connotato da uno scopo ben preciso, il controllo diffuso sulle pubbliche amministrazioni, comprende qualsiasi documento o qualsiasi informazione detenuta dalla pubblica amministrazione.
Tale diritto, d’altra parte, non si può estendere a documenti o informazioni che non sono detenute dalla pubblica amministrazione oppure sono detenute da amministrazioni diverse da quella interrogata dall’interessato.
Ciò consente di escludere il diritto di accesso preteso dal ricorrente per la sentenza definitiva del giudizio di interesse e per la memoria difensiva presentata per conto dell’amministrazione resistente.
Si tratta di documenti e di informazioni processuali detenute e disponibili, nei limiti consentiti dalla legge, presso l’ufficio giudiziario che ha definito la controversia, nel caso specifico il Tribunale civile di Roma.
La domanda di accesso, quindi, avrebbe dovuto essere presentata al Tribunale civile di Roma e non al Garante per la protezione dei dati personali.
Limitatamente alla sentenza e alla memoria difensiva richieste, pertanto, il ricorso è infondato, in quanto si tratta di atti non detenuti “ratione officii” dall’amministrazione resistente che, seppure è stata parte nel processo civile di cui si tratta, non ha svolto né poteva svolgere alcuna funzione di deposito, pubblicazione, conservazione dei relativi atti giudiziari.
Per quanto riguarda, invece, gli altri documenti e le altre informazioni richieste dall’interessato, si deve considerare che il giornalista ricorrente reclama il diritto di conoscere l’ammontare delle spese e di prendere visione dei documenti contabili di liquidazione degli onorari agli avvocati incaricati della difesa dell’amministrazione resistente.
Al riguardo richiama l’articolo 15 del D. Lgs. 33 del 2013 che, alla lettera d) del primo comma, prevede l’obbligo di pubblicazione dei compensi, comunque denominati, relativi a rapporti di consulenza o di collaborazione con la pubblica amministrazione; trattandosi di dati a pubblicazione obbligatoria, la pubblica amministrazione non potrebbe opporsi in nessun caso alla loro comunicazione al richiedente, anche perché l’articolo 4 dello stesso decreto legislativo obbliga ciascuna pubblica amministrazione a rendere noti, mediante una specifica sezione, compresa nel proprio sito istituzionale e denominata amministrazione trasparente, i dati sui propri pagamenti, permettendone la consultazione pubblica.
A giudizio del Collegio, il richiamo agli obblighi di pubblicazione non è pertinente.
Tali obblighi sono stati introdotti dalla legge 11 agosto 2014, numero 114, che ha modificato “in parte qua” l’articolo 15 del decreto legislativo numero 33 del 2013; a decorrere dall’entrata in vigore della norma, l’Autorità garante resistente è obbligata a pubblicare regolarmente sul proprio sito, nella sezione autorità trasparente, le informazioni relative agli incarichi professionali.
I documenti e le informazioni chieste dal ricorrente sono, invece, relativi ad un incarico professionale conferito prima dell’entrata in vigore della norma sugli obblighi di pubblicazione; l’incarico difensivo risulta, infatti, essere stato assunto nel 2002 e le competenze risultano essere state liquidate nel 2010, quando nessun obbligo di pubblicazione ancora sussisteva.
In applicazione del principio di non retroattività della legge, quindi, non può essere esercitato oggi un diritto che non era riconosciuto dalla legge in vigore al momento in cui si è verificata la relativa fattispecie costitutiva.
Il ricorrente, al fine di smentire la suddetta tesi, richiama la circolare ministeriale per la semplificazione e la pubblica amministrazione numero 2 del 2017 che estenderebbe l’accesso civico anche a informazioni o documenti esistenti in data anteriore all’entrata in vigore della legge.
La circolare richiamata non è condivisibile per le ragioni appena esposte e, comunque, per la natura propria di essa, non è vincolante per il giudice, né per la pubblica amministrazione.
Chiarita la inapplicabilità della normativa sugli obblighi di pubblicazione e di trasparenza, si deve rilevare che, nel caso controverso, in realtà, il ricorrente ha chiesto informazioni e documenti ulteriori rispetto a quelli che dovrebbero o potrebbero essere eventualmente oggetto di pubblicazione.
Il ricorrente non è interessato soltanto all’entità del compenso liquidato agli avvocati, ma intenderebbe prendere visione delle fatture e dei documenti contabili con cui è stata liquidata la spesa.
Ciò al dichiarato fine di verificare se corrisponde al vero che l’avvocato Alpa e l’avvocato Conte abbiano lavorato autonomamente e siano stati pagati ciascuno con una distinta ed autonoma fattura.
Lo scopo dell’inchiesta giornalistica condotta dal ricorrente consiste nel disvelamento degli eventuali rapporti professionali tra i due avvocati, per approfondire la legittimità della posizione del professor Alpa nell’ambito dell’organo collegiale che ha conferito la docenza all’avvocato Conte.
Chiarita la sostanza dell’interesse dedotto in giudizio, occorre accertare se esso corrisponde al diritto tutelato dalla legge.
Il secondo comma del più volte richiamato articolo 5 del decreto legislativo numero 33 del 2013 riconosce il diritto di accesso generalizzato allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Il diritto di accesso riconosciuto dalla norma, per la natura pubblicistica che è propria di esso, è un diritto funzionale a un interesse pubblico, ravvisabile, appunto, nel controllo generalizzato e diffuso sull’attività delle pubbliche amministrazioni.
In ciò si distingue dal diritto di accesso documentale riconosciuto dalla legge sul procedimento amministrativo, posto a tutela di interessi privati e che presuppone una posizione soggettiva differenziata.
Trattandosi di un interesse diffuso, il diritto di accesso civico generalizzato è stato riconosciuto senza limiti di legittimazione attiva, per cui la posizione del giornalista non si distingue, in tale ambito, da quella del comune cittadino.
Affinché il diritto sia esercitabile, in ogni caso, è necessario che sia funzionale allo scopo stabilito dalla legge, ravvisabile nel controllo generalizzato sul buon andamento della pubblica amministrazione e sul corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
Il diritto di accesso civico generalizzato non è invece riconosciuto dall’ordinamento per controllare l’attività dei privati o i rapporti tra essi intercorrenti.
In applicazione del principio giuridico appena enunciato, il diritto di accesso per cui agisce il ricorrente si deve ritenere privo di fondamento.
Le finalità dichiarate espressamente dallo stesso ricorrente non rientrano tra gli scopi per i quali la legge riconosce il diritto di accesso civico generalizzato.
E’ pacifico, infatti, che l’istanza presentata dal ricorrente non è funzionale al controllo sull’attività dell’amministrazione resistente, ma è proposta al fine di conoscere i rapporti professionali tra due soggetti privati, l’avv. Alpa e l’avv. Conte.
Pertanto, si deve concludere che oggetto dell’istanza siano documenti e informazioni non comprese tra quelle accessibili in base all’articolo 5 del decreto legislativo numero 33 del 2013.
I ricorsi, in sintesi, sono infondati e devono essere respinti.