Particolarmente interessante il tema della conservazione dei documenti da parte della Pubblica amministrazione affrontato nel contesto di un procedimento penale in cui taluni soggetti erano stati accusati di aver “distrutto” tutta la documentazioni afferente lo svolgimento di una procedura di selezione, ivi inclusi íi curricula dei candidati e le prove scritte sostenute, indetta per la selezione del nuovo direttore generale.
Sebbene la vicenda abbia riguardato un’azienda partecipata (ex municipalizzata) dal Comune di Verona, gli argomenti, le considerazioni ed i principi di diritto espressi dalla Corte di Cassazione, Sezione V, con la sentenza 35095 del 31 luglio 2019, ben sono estensibili all’intero comparto pubblico.
A fronte di talune difese svolte dagli imputati, richiamando i principi in tema di privacy e protezione dei dati personali, la Corte di Cassazione ha argomentato che “La documentazione amministrativa di cui si discute rientra, senza alcun dubbio, nella tipologia dei documenti facenti parte dell’archivio corrente dell’ente territoriale, alla luce della complessa ed articolata normativa, essenzialmente rinvenibile dal d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42, meglio noto come “Codice dei beni culturali e del paesaggio“.
Le difese degli imputati avevano sostenuto che, nel caso in esame, nell’inserzione di lavoro pubblicata era stato espressamente richiesto il consenso al trattamento dei dati personali e quindi, ancora, l’art. 16 del d. Igs. 196/203 (oggi abrogato e sostituito, sostanzialmente, nell’articolo 17 del GDPR) avrebbe imposto la distruzione dei dati acquisiti in relazione ad un trattamento cessato, avendo anche il CdA assecondato la richiesta avanzata dalla commissione giudicatrice.
Anzitutto la Corte ha premesso che “in riferimento alla configurabilità della fattispecie di cui all’art. 490 cod. pen., va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte, superando un più risalente orientamento, ha affermato che “La prova scritta del candidato di un pubblico concorso costituisce atto pubblico e non già scrittura privata, ove sia redatta su fogli appositamente timbrati, firmati e progressivamente numerati dai componenti della commissione. Tali incombenti rappresentano, infatti, il risultato di un’attività di controllo posta in essere dal pubblico funzionario, nell’esercizio delle funzioni a lui demandate, al fine di attestare la genuinità e la provenienza delle scritturazioni che il candidato è abilitato ad apporre sui fogli appositamente vistati e numerati. Sicché, non essendo concepibile che nello stesso atto possano coesistere due distinte nature (una, pubblica per la parte contenente le dette attestazioni, e l’altra privata, per la parte grafica redatta dallo stesso candidato) deve ritenersi che il carattere pubblico informi l’intero documento, dato il contesto unitario ed inscindibile, e dunque anche nella parte relativa alla componente grafica proveniente dal privato cittadino)”.
In particolare, secondo la Corte, gli archivi e i singoli documenti degli Enti pubblici sono oggetto di particolare tutela, in quanto considerati dalla legge beni culturali fin dall’origine, ex artt. 2 e 10, comma 2, lett. b) d. Igs. 42/2004; ne consegue, ad esempio, che detti beni sono inalienabili, ai sensi dell’art. 54, commi 1 e 2, d. Igs. 42/2004 e sono, altresì, soggetti al regime del demanio pubblico, di cui agli artt. 822, 823, 824 cod. civ., che all’inalienabilità aggiunge altre garanzie di salvaguardia, con imprescrittibilità dei relativi diritti.
In particolare, alla luce della citata normativa, per archivio corrente si intende il complesso dei documenti relativi alla trattazione di affari in corso; esso è, di norma, organizzato su base annuale, nel senso che ad ogni inizio d’anno i fascicoli delle pratiche non chiuse entro il dicembre precedente vengono “trascinati” nell’archivio del nuovo anno. Per archivio di deposito, invece, si intendono i fascicoli di cui è terminata la trattazione e che richiedono un accesso poco frequente, mentre l’archivio storico è costituito dai documenti relativi agli affari esauriti da oltre quaranta anni.
L’archivio deve essere periodicamente sottoposto ad una selezione razionale, che va prevista fin dal momento della creazione dei documenti, e va disciplinata nel piano di conservazione, ai sensi dell’art. 68, comma 1, d.p.r. 445/2000, a sua volta integrato con il sistema di classificazione.
I termini di conservazione si calcolano dalla data di chiusura della trattazione dell’affare, e non dalla data dei singoli documenti.
In ogni caso lo scarto di documenti dell’archivio dell’Ente è subordinato ad autorizzazione della Soprintendenza Archivistica, ai sensi dell’art. 21, comma 1, del d.Igs. 42/2004; la distruzione non autorizzata di documenti dell’archivio, non a caso, è punita con l’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da euro 775,00 ad euro 38.734,50, ex art. 169, comma 1, d. Igs. 42/2004.
In realtà, rientra nella responsabilità dell’Ente accertare ogni volta, nel caso concreto, il venir meno dell’utilità amministrativa dei documenti, anche al di là di quanto astrattamente previsto, in linea generale, dal piano di conservazione e scarto; basti pensare, ad esempio, al caso di una controversia che duri più del termine normalmente previsto per la conservazione del tipo di documenti rivelatisi necessari per quella procedura giudiziaria. Per tale ragione la proposta di scarto deve essere motivata, mentre le modalità di deliberazione e determinazione dello scarto, da parte dell’Ente, sono fissate dal medesimo, nell’ambito della sua potestà di autoregolamentazione, come previsto dall’art. 4,
comma 2, d. Igs. 165/2001.
Correlativamente, inoltre, ai sensi della normativa sulla trasparenza amministrativa, í documenti dell’archivio corrente e di deposito, compresi gli atti interni, si presumono accessibili a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, ai sensi degli artt.22 e 23 legge n. 241/1990, come modificata dalla legge n. 15/2005, salvo le eccezioni previste dalla legge e dal regolamento dell’Ente, venendo meno il dovere di rendere accessibili i documenti quando viene meno l’obbligo di detenerli.
Infine, la normativa sul trattamento dei dati personali comporta obblighi specifici di riservatezza, che non fanno venir meno il generale principio della trasparenza amministrativa, come si evince dalle disposizioni di cui al d. Igs. 30 giugno 2003 n.196 contenente il “Codice in materia di protezione dei dati personali”.
Da detto impianto normativo discende che, anche a norma dell’art. 16 d. Igs. 196/2003, la cancellazione di dati, su richiesta dell’interessato, o in occasione della cessazione del trattamento, deve essere equiparata alla distruzione dei
documenti, e come tale va autorizzata dalla Soprintendenza archivistica, a norma degli art.22, comma 5, d. Igs. 196/2003 e 21, comma 1, lett. d), d. Igs. 42/2004).
Va, infine, ricordato che il trasferimento dall’archivio corrente a quello di deposito, di fascicoli relativi a procedimenti conclusi, è effettuato annualmente dal responsabile del Servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi, che in tale occasione redige, e poi conserva, gli elenchi dei fascicoli e delle serie trasferite, ai sensi dell’art. 67, commi 1 e 3, d.p.r. 445/2000. A norma del successivo art. 68, il servizio per la gestione dei flussi documentali e degli archivi elabora ed aggiorna il piano di conservazione degli archivi, integrato con il sistema di classificazione, per la definizione dei criteri di organizzazione dell’archivio, di selezione periodica e di conservazione permanente dei documenti, nel rispetto delle disposizioni in materia di tutela dei beni culturali, dovendosi conservare traccia dei documenti prelevati dagli archivi, del movimento effettuato e della richiesta di prelevamento.
Sulla scorta delle sopra riportate considerazioni, i Giudici di legittimità hanno ritenuto incoerente con la disciplina vigente ritenere legittimo l’operato degli imputati in riferimento alla condotta di cui all’art. 490 cod. pen., apparendo evidente come, da un lato, la disciplina della tutela dei dati personali non rendesse affatto necessaria la distruzione dei documenti, ciò non essendo affatto previsto dalla normativa di settore, e come, dall’altro, gli obblighi di conservazione e
catalogazione dei documenti avrebbe imposto ben altre condotte, rientrando i documenti in esame nel concetto di archivio corrente dell’Ente territoriale, con conseguente applicabilità della relativa disciplina.
Ne deriva che la condotta degli imputati appare macroscopicamente eccentrica rispetto a quella delineata dalle normative di riferimento, rendendo i rispettivi motivi di ricorso sul punto ai limiti dell’inammissibilità.