Con la sentenza n. 46158 del 13 novembre 2019, la V Sezione penale della Corte di Cassazione ha esaminato il caso (prosciogliendola) di una lavoratrice rea di aver effettuato riprese fotografiche all’interno dell’abitazione di M.C. e M.R., poi prodotte in sede di giudizio relativo al rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti.
L’art. 615 bis c.p., punisce chi, con strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura notizie o immagini relative alla vita privata che si svolge nei luoghi indiati dall’art. 614 c.p.. Il riferimento ai luoghi indicati nell’art. 614 c.p., è puramente indicativo di un richiamo a quei luoghi, senza che la disciplina del reato di violazione di domicilio possa essere a sua volta recepita nella disposizione sopra richiamata.
Al riguardo, va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il riferimento, contenuto nell’art. 615 bis c.p., comma 1, ai luoghi indicati nell’art. 614, dello stesso codice, ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l’interferenza nella altrui vita privata assume penale rilevanza, ma non anche quella di recepire il regime giuridico dettato dalla disposizione da ultima citata. (Sez. 5, n. 9235 del 11/10/2011 – dep. 08/03/2012, M., Rv. 251999).
Delineato così il parametro di applicazione della fattispecie criminosa contestata, va detto che secondo la giurisprudenza di legittimità più recente, non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 bis c.p.) la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva, in un’abitazione in cui sia lecitamente presente, filma scene di vita privata, in quanto l’interferenza illecita normativamente prevista è quella realizzata dal terzo estraneo al domicilio che ne violi l’intimità, mentre il disvalore penale non è ricollegato alla mera assenza del consenso da parte di chi viene ripreso. (Sez. 5, n. 27160 del 02/05/2018 – dep. 13/06/2018, C, Rv. 273554).
Va richiamata, altresì, altra pronuncia, secondo la quale integra il reato di interferenze illecite nella vita privata di cui all’art. 615-bis c.p. la condotta di colui che, mediante l’uso di strumenti di captazione visiva o sonora, all’interno della propria dimora, carpisca immagini o notizie attinenti alla vita privata di altri soggetti che vi si trovino, siano essi stabili conviventi o ospiti occasionali, senza esservi in alcun modo partecipe; ne consegue che detto reato non è configurabile allorchè l’autore della condotta condivida con i medesimi soggetti e con il loro consenso l’atto della vita privata oggetto di captazione. (Sez. 5, n. 36109 del 14/05/2018 – dep. 27/07/2018, C, Rv. 273598).
Tali pronunce delineano, in modo chiaro e netto, la riferibilità dell’autore del reato ad un soggetto che carpisca immagini relativi a luoghi di privata dimora in cui il medesimo non sia ammesso, il che costituisce all’evidenza
la realizzazione di un atto di interferenza nell’ambito privato altrui.
Ulteriore presupposto di tale reato, desumibile dai richiamati arresti giurisprudenziali, è poi costituito, da un lato, dalla compartecipazione dell’autore delle riprese all’evento, oggetto di disamina, e, d’altro canto, dal
disvalore obiettivo delle immagini, riprese da un soggetto, lecitamente inserito nei luoghi di privata dimora (dizione, quest’ultima, presupponente un preventivo consenso da parte dei titolari all’accesso a tali luoghi da parte del soggetto i questione).
Poste tali premesse, implicanti un approfondimento e un’analisi della ratio della disposizione e del suo ambito di applicazione, va detto che, nel caso di specie ricorrono le condizioni per un proscioglimento ampio, perchè il fatto non sussiste.
Nella fattispecie è indubbio che l’odierna ricorrente fosse autorizzata ad accedere nel luogo di abitazione delle parti lese.
Altro dato pacifico è rappresentato dalla produzione delle immagini, relative agli ambienti interni e al mobilio ivi presente, nel corso del giudizio, avente ad oggetto il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la prevenuta e le parti lese.
Ne consegue, acclarata la legittima presenza della ricorrente nei luoghi di privata dimora di pertinenza delle p.o., la mancanza di un disvalore obiettivo, non essendo state riprese scene della vita privata, ma solo gli ambienti e i loro arredi.
E ciò è confermato, senza necessità di richiamare l’esimente dedotta, anche dalla limitatezza del fatto, considerato obiettivamente, al solo ambito del giudizio, a fini strettamente legati alla difesa della stessa ricorrente.
Trattasi di circostanze che escludono per altra via il carattere indebito della ripresa limitata ad una ristretta utilità.